Un po' di mitologia.. | |
SOMMARIO:
OSIRIDE
su Società Ermetica
.. Osiride era il quarto dio che regnava in terra. .. I suoi predecessori si erano ritirati in cielo stanchi e scoraggiati: non erano riusciti ad educare gli uomini. Solo un dio che accettasse di condividere le sofferenze e la morte segnata nel destino dell'uomo poteva vincere l'ardua impresa. Osiride .. con l'aiuto della moglie-sorella Iside, aveva insegnato loro a lavorarare la terra, a coltivare la vite, il grano e l'orzo, ricavandone il vino, la farina, il pane e la birra. Aveva anche mostrato loro come forgiare i metalli per ottenere utensili e armi. A sua sorella e sposa Iside lei si doveva l'istituzione della famiglia e l'insegnamento alle donne della tessitura e del ricamo. I due sposi regnavano felici sull'Egitto. Osiride affiancato dal dio Thoth delle arti e della scienza, inventò i segni della scrittura e si prestò a civilizzare il resto del mondo, lasciando al governo dell'Egitto all'amata moglie Iside.
Ma Nefti, moglie di Seth, sedotta dalla bellezza del cognato, si era data a lui, dopo aver assunto le sembianze di Iside, per non essere respinta. Dalla relazione nacque Anubi. Il fratello Seth - geloso - insieme ad Aso, la regina dell'Etiopia, avevano ordito una congiura contro di lui: col pretesto di onorare Osiride, lo invitò come ospite d'onore ad un banchetto, alla fine del quale fece portare una cassa riccamente ornata e la mostrò ai commensali dicendo che l'avrebbe donata a quello, fra loro, che l'avesse riempita esattamente della propria persona. Appena Osiride si stese nella cassa, Set e i convitati, suoi complici, inchiodarono ermeticamente il coperchio, portarono la cassa in riva al Nilo e la gettarono nel fiume. Il cofano raggiunse le spiagge del Biblo e si arenò ai piedi di un rigoglioso cespuglio di tamerice. Immediatamente dalla tamerice nacque un altissimo albero d'acacia che nascose la cassa racchiudendola al suo interno. Intanto Iside, venuta a sapere dell'accaduto, raggiunse Biblo e si mise a cercare il cofano. Tutte le notti si trasformava in rondine e svolazzando intorno alla colonna lanciava gridi strazianti a cui però nessuno faceva caso.
Ospite della regina e sua cara amica, le svelò la sua segreta natura divina e diventò la tutrice del figlioletto ammalato del re e della regina. Riconoscente dell'ospitalità, decise di rendere immortale il principino ammalato: ogni notte lo immergeva nelle acque purificatrici, ma invano. La regina ne fu profondamente rattristata, ma allo stesso tempo grata e le avrebbe offerto tutto ciò che avesse voluto. Iside richiese ed ottenne la grande colonna che, il re aveva fatto costruire con l'albero miracoloso, dove era contenuto il cofano. Ne trasse lo scrigno e riempì il tronco di profumi, lo avvolse in aulenti bende e lo lasciò al re e al suo popolo come suo ricordo e preziosa reliquia.
Ripresa la via del ritorno, fece fermare la carovana e aprì la cassa. All'apparire del volto del marito, le sue urla riempirono l'aria di dolore; usò tutte le possibili formule magiche per richiamare in vita lo sposo, ma nulla cambiò. Straziata dal dolore, si trasformò in falco e fece vento con le ali sul corpo senza vita dello sposo. La grandezza, la potenza e l'amore di Iside portarono alla resurrezione di Osiride, ma solo per il tempo necessario al concepimento di Horus.
Iside nascose allora la cassa in un luogo presso Buto, nel fango, tra le paludi del Delta. A turno il sarcofafago veniva vegliato dalla Dea e dai suoi fedeli aiutanti. Ma per caso Seth, andando a caccia di notte lo trovò incustodito e apertolo, tagliò il corpo del fratello in quattordici pezzi che sparpagliò per tutto l'Egitto. Iside, saputolo, ricominciò la ricerca con l'aiuto della sorella Neftis, Thoth e Anubis e riuscì a ricomporre il corpo. Le parti del corpo di Osiride furono tutte recuperate tranne il membro virile, mangiato dall'ossirinco, un pesce comune nel Nilo. In ognuna delle città dove furono recuperate le parti del corpo di Osiride sorse un tempio. Anubi ne imbalsamò il corpo, confezionò la prima mummia fasciata e ricoperta di talismani; sui muri del sepolcro furono incise le formule magiche di rito e accanto al sarcofago fu deposta una statua a lui somigliante. Così Osiride ricominciò a regnare ma non più sulla terra, bensì sul "Sito che è oltre l'Occidente", l'oltretomba. Compiuto il rito della sepoltura, Iside ritornò a nascondersi nelle paludi per proteggere il nascituro dalle vendette di Seth.
Nel contempo Seth era diventato re d'Egitto, ponendo fine al florido governo del fratello assassinato. Quando Horo nacque, fu protetto con tutto l'amore, crebbe e Osiride tornò sulla terra per farne un soldato. Radunati tutti i suoi fedeli, Horus partì alla ricerca di Seth per vendicare il padre. La battaglia durò tre giorni e tre notti: Horo mutilò Seth, ma questo si trasformò in un enorme maiale nero e ingoiò l'occhio sinistro di Horo. Alla fine Seth stava per soccombere, quando Iside implorò il figlio di risparmiarlo alla sorelle Neftis. Horo, in uno scatto di ira, tagliò la testa alla madre, ma Thoth la guarì ponendole una testa di mucca (Hator - la Dea nutrice del Faraone). La battaglia non ebbe né vincitori né vinti: tutta la battaglia fu posta nelle mani del giudizio di Thoth. Thot, dio della saggezza e della sapienza, persuase i due contendenti a sottoporsi al giudizio del consiglio degli dei ad Eliopoli. Il giudizio durò 80 anni; nel frattempo Thoth guarì Seth che fu costretto a restituire l'occhio sinistro ad Horo. Il Divino Tribunale diretto da Thot, sentenziò che Horus fosse il legittimo erede di Osiride e, come tale, erede del trono del Basso Egitto. A Seth fu assegnato il governo dell'Alto Egitto.
Dopo la sentenza, Horus compie un viaggio nel mondo sotterraneo per comunicare la novella al padre. La felice notizia consente all'anima di Osiride di risvegliarsi per divenire così, il simbolo della rinascita, lo spirito della vita. Giustizia e ordine regnano di nuovo sovrani. Il legittimo erede è sul trono per continuare il buon governo del padre, il ciclo naturale della vita continua dopo la morte. Osiride era rinato nell'oltretomba divenendone sovrano e giudice delle anime dei morti che giungevano nell'Aldilà.
LE 12 FATICHE DI ERCOLE
di Alice G.
.. Le 12 fatiche di Ercole, o Eracle, [rappresentano] il racconto mitologico di ciascuna fatica iniziatica simboleggiata anche dai 12 segni zodiacali; l'analogia del lavoro interiore che il neofita deve compiere su sé stesso, superando, segno per segno, gli ostacoli posti dalle 12 prove, sino a poter racchiudere in sé, in un'unità inscindibile, tutt'e dodici i segni.
.. Eracle [nacque a Tebe,] figlio di Zeus e Alcmene, moglie di Anfitrione. .. Hera, gelosa del tradimento del consorte, .. permise che, nel parto gemello di Alcmena, Euristèo, concepito da Anfitrione, nascesse prima di Ercole, concepito da Giove. In forza della primogenitura, Euristèo, governò su Micene e prescrisse al fratello le famose dodici fatiche, dalle quali Hera sperava non potesse, alla lunga, uscire incolume.
.. La sua prima prova fu la lotta col leone di Nemèa, mostro nato da Tifone e da Echidna e che non poteva essere ucciso con nessun'arma, poiché la sua pelle era invulnerabile. Per vincerlo, l'eroe lo costrinse a rifugiarsi nella tana, dopo averlo senza risultato colpito con le frecce e intontito con i tremendi colpi della sua clava; quindi lo soffocò nella stretta delle sue braccia di acciaio. Poi, scuoiatolo, si servì della pelle come di una veste, ricoprendosi il capo con la testa della bestia.
Secondo l'interpretazione della Bailey, l'episodio spiega come il candidato all'iniziazione deve uccidere il leone della personalità, per far posto al disinteresse, per imparare a subordinarsi al tutto. Anche secondo il filosofo O.M. Aivanhov, l'episodio del leone nemeo corrisponde al quinto segno dello zodiaco. La prova consisterebbe nel "vincere la fierezza orgogliosa e l'ostinazione del Leone, e sviluppare la sua nobiltà, la sua grandezza, la sua rettitudine".
È da notare come la pelle del leone vinto da ora in avanti costituirà in un certo senso la "divisa" di Eracle, l'abito che servirà a coprirlo.
La seconda fatica consistette nell'uccisione dell'Idra di Lèrna, dalle sette o, secondo le versioni, nove teste, una delle quali immortale, mentre le altre rinascevano appena recise. Il corpo dell'Idra era, per metà, quello di una bella ninfa, e, per metà, quello di un serpente o drago. Ercole l'affrontò; e dopo aver bruciato le sei otto teste mortali, per impedire che si riproducessero, finì il mostro.
L'Idra di Lerna rappresenta lo Scorpione, anche conosciuto come serpente o drago, sede astrologica dell'istinto sessuale. La prova sarebbe quindi il dominio dell'istinto da parte del candidato: l'Idra ben rappresenta la forza sessuale, alla quale, nonostante si cerchi di tagliare le sue numerose teste, ricrescono con vitalità frustante. Lottare contro l'istinto, servendosi semplicemente della repressione e cercando di annientare questa potente forza soltanto con la volontà, non porta alla vittoria: è necessario trasformare l'istinto in qualcos'altro, e l'eroe, per riuscire, userà il fuoco, simbolo dall'amore sacro.
Il terribile Cinghiale d'Erimanto, che devastava l'Elide e l'Arcadia, è la terza prova di Ercole. Inseguita la fiera fino alla cima del monte Erimanto, egli l'afferrò per le quattro zampe e la portò viva dinanzi ad Euristeo.
Secondo la Bailey l'episodio è in analogia con il segno della Bilancia, poiché, per catturarlo, Eracle costrinse l'animale a scendere dalla montagna tenendolo per le zampe posteriori. L'animale perse così l'equilibrio, simbolo del segno in questione. Secondo Aivanhov invece l'associazione è con la forza bruta di Marte, e quindi con il segno dell'Ariete; a ulteriore riprova, egli cita una leggenda della mitologia greca: Marte infatti per ferire Adone, del quale era furiosamente geloso, si trasformò proprio in cinghiale.
Le due proposte si pongono in perfetta antinomia: nella zodiaco ciascun segno è descritto e completato dall'opposto: considerando la ruota, Ariete e Bilancia sono due raggi di uno stesso diametro.
La quarta fatica consisté nel prendere la cerva di Cerinèa, abbracciandola mentre stava per sfuggirgli lanciandosi a nuoto nel fiume Ladine. L'animale, dai piedi di bronzo e dalle corna d'oro, sacro a Diana, viveva sulle pendici del monte Cerine. Essa si muoveva con tanta agilità e leggerezza nella corsa, tanto che nessuno era mai riuscito a raggiungerla. Ercole l'insegui per un anno prima di riuscire a prenderla.
Anche per questa fatica abbiamo due diverse attribuzioni; il Cancro e il Capricorno, segni complementari in opposizione esattamente come i precedenti. Secondo Aivanhov la quarta impresa dell'eroe sarebbe in corrispondenza con il segno del Capricorno a causa dell'animale rappresentato, che racchiuderebbe un significato simbolico affine alla capra, glifo del decimo segno.
La Bailey sottolinea invece come l'aspirante iniziato, consegnando la Cerva, sacra ad una divinità lunare, ad Apollo, raggiungerebbe un'espansione solare di coscienza. "è appunto il processo in gioco nel Cancro: ciò che in Ariete non era che istinto dovrà riconcentrarsi per produrre il suo frutto in Leone".
La quinta fatica consisteva nel riuscire ad eliminare gli Uccelli del Lago Stinfalo, che avevano artigli, becco, ali e penne di bronzo, di cui essi si servivano, lanciandole, come di frecce.
I due autori concordano nell'attribuire l'impresa alla conquista delle qualità proprie del Sagittario. La tappa fu superata da Ercole abbattendo gli uccelli con un'idea, vale a dire quella di riuscire a produrre un suono insopportabile per il loro udito.
La sesta vede il nostro eroe impegnato nella conquista del Cinto d'Ippolita, regina delle Amazzoni, alla quale era stato donato dal dio Marte. La figlia d'Euristeo reclamava tale cinto per se stessa, e per carpirlo Ercole fu costretto ad affrontare le bellicose Amazzoni. Durante la lotta egli assassinò la regina, cui tolse il cinto desiderato, anche se un'altra variante del mito afferma che egli non l'uccise ma la diede in sposa a Teseo.
Entrambi gli autori concordano nell'analogia tra le Amazzoni e il segno della Vergine. Ma, secondo la Bailey, l'episodio dell'uccisione della regina costituirebbe uno scacco nell'iniziazione di Ercole, un errore.
Per la settima fatica Eracle doveva pulire le Stalle di Augia che l'omonimo re degli Epei non aveva mai pulito. Stabbio e letame vi si erano così accumulati che l'impresa pareva davvero impossibile. Augia in compenso gli promise la decima parte delle bestie che vi erano ammassate. Ercole riuscì nel compito deviando nelle stalle il corso dei fiumi Alfeo e Peneo, che spazzarono via, con la violenza della loro corrente, tutto l'enorme sudiciume.
Le acque dei fiumi rappresenterebbero le Acque spirituali dell'undicesimo segno, l'Acquario, acque che sarebbero in grado di purificare il subcosciente dell'uomo.
L'ottava fatica di Ercole è la cattura del Toro dell'isola di Creta. Nettuno, per punire Minosse re di Creta di non aver eseguito i sacrifici necessari al suo culto, aveva mandato nell'isola un toro ferocissimo, che l'eroe catturò vivo e condusse a Micene.
Il segno del Toro rappresenta, così come del resto il suo opposto, lo Scorpione, l'istinto sessuale e gli istinti in genere, la brutale forza animale della lotta per la sopravvivenza. Questo segno chiude la croce dei fissi, cioè dei segni centrali di ogni stagione: Leone, Scorpione, Acquario e Toro.
.. Diomède era il crudele re dei Bistoni, che aveva l'abitudine di nutrire le sue cavalle con la carne dei viandanti smarriti. Come nona fatica Ercole uccise Diomede, che, poi, fece divorare dalle sue stesse cavalle. Però Euristeo, quando esse gli furono condotte innanzi, preferì lasciarle in libertà.
Sia la Bailey che Aivanhov concordano nell'assimilare le cavalle all'attività mentale, ma secondo la prima la fatica è in analogia con il segno dell'Ariete, per cui l'impresa lo instraderebbe lungo la via dove s'impara a domare i propri pensieri. L'autore bulgaro invece attribuisce le cavalle di Diomede ai Gemelli e al deleterio uso dell'intelletto, facoltà che usata per separare, analizzare, esaminare, sezionerebbe la realtà distruggendola. La fatica sarebbe quindi di monito contro l'eccessiva fiducia nella propria attività mentale: i pensieri, secondo l'autore, possono davvero diventare feroci belve carnivore.
La decima fatica consisté nella conquista dei buoi di Geriòne, un mostruoso gigante con tre corpi che possedeva un ricco armento custodito da un drago con sette teste e da un cane bicipite; la Bailey afferma che questa fatica sarebbe l'ultima, poiché gli donerebbe l'immortalità: essa sarebbe in analogia con il segno dei Pesci, domicilio di Nettuno, secondo il mito padre putativo del gigante. Aivanhov sostiene invece che la fatica sia in analogia con il segno del Cancro, poiché i tre corpi, raffigurando i tre aspetti principali della personalità dell'uomo, fisico, emotivo e mentale, rappresentano la personalità, in analogia con la Luna che governa appunto il Cancro.
L'undicesima fatica vede il nostro eroe impegnato nella conquista dei pomi d'oro del giardino delle Esperidi. I preziosi frutti erano custoditi dal drago Ladòne e da Atlante. Per venirne in possesso, Ercole propose ad Atlante di reggere per lui, sulle spalle, il peso del cielo ma in cambio questi avrebbe dovuto cogliere per lui i pomi. Atlante non avrebbe più voluto liberarlo, ma Ercole, con un'astuzia, riuscì a cavarsela.
La Bailey asserisce che, raccogliendo i frutti della conoscenza, Eracle apprenderebbe il concetto di discriminazione, qualità in analogia con i Gemelli. Ma Aivanhov, ricordando molto opportunamente come Hesperos sia il nome greco di Venere mattutina, pone la fatica in analogia con il segno della Bilancia, il segno dell'equilibrio.
La dodicesima ed ultima fatica, Eracle la compie scendendo all'Inferno dove secondo alcuni uccide Cerbero, secondo altre versioni lo porta incatenato al povero Euristeo, che gli impose di riportarlo subito all'Inferno. Però tutte le versioni concordano nell'affermare che Ercole riuscì anche a liberare Teseo dopo che vi era stato incatenato perché aveva tentato di rapire Proserpina. La Bailey pone la fatica in corrispondenza con il Capricorno, ricordando come venga prima dell'Acquario, per cui l'uccisione del Cane guardiano degli Inferi sarebbe preliminare alla famosa pulizia delle stalle, mentre il filosofo bulgaro pone l'accento sulla liberazione di Teseo e sul segno dei Pesci, "regno del caos e dell'indistinto, le tenebre dell' inconscio dalle quali Ercole strappò Teseo per riportarlo alla luce, alla coscienza".
Al termine di tutte queste fatiche, finalmente al nostro eroe fu concessa la libertà. ..
APOLLO / FEBO
di P. Ramorino
Apollo, detto Febo, era - come Artemide - figlio di Zeus e di Leto o Latona. Narravasi che perseguitata dalla gelosia di Era, la povera Leto fosse stata costretta a peregrinare di terra in terra prima di trovar un luogo sicuro dove dare alla luce i figli suoi. [Esattamente come la Madonna, ndJB]
Febo-Apollo è il Dio raggiante, il Dio della benefica luce, il sole che vien fuori dal grembo della notte (Latona, la nascosta), e Delo, che vuol dire «quella che mostra» è il luogo per questa epifania della luce. .. La leggenda ce lo rappresenta fin da giovinetto in lotta .. contro il serpente Pitone (Python) mostro parimenti nato dalla terra, che infestava la pianura di Crisa nelle vicinanze di Delfo. Una simile vittoria di un Dio contro un serpente, ricorre in tutte le mitologia, e simbolizza il trionfo del giorno sulle potenze delle tenebre. Apollo avendo colle sue frecce ucciso Pitone, n'ebbe il soprannome di Pizio, e Delfo divenne da allora in poi sede principale del culto di questo Dio.
.. E, per i benefizi da lui apportati alla vegetazione, Apollo era venerato corna Targello (Thargelios), il calore fecondo che matura i frutti della terra (di qui il nome del mese Targelione, o Maggio [mese Sacro ad Apollo]). .. Egli è un Dio benefico e datore di ogni felicità ai mortali, ma ha anche il suo carattere bellicoso e funesto. È persino Dio della morte; manda pestilenze ed è cagione di morti improvvise. A Troia, quando i Greci negarono al suo sacerdote Crise i dovuti onori, Apollo si appostò lontano dalle navi, e per nove giorni volarono le sue pestifere saette nel campo greco seminando la morte e la desolazione. Però se apporta questi mali, Apollo sa anche guarirli; ed ecco riappare il carattere benefico del Dio; egli è anzi il Dio salutare per eccellenza, protettore degli armenti e degli uomini, quegli che allontana i mali, il medico; onde la leggenda lo fe' padre di Asclepio o Esculapio e lo identificò con Peone il medico degli Dei. E non solo dei corpi, ma è anche medico delle anime, che ei guarisce dal male morale colle pratiche della purificazione. Dissipa le tenebre dell'ignoranza e del peccato, come dissipa quelle della notte; e persino i perseguitati dalle Furie sono da lui compassionati e difesi. .. E poiché tra le cose che più calmano lo spirito e gli infondono una tranquilla pace è la musica, niuna meraviglia che Apollo sia stato anche pensato come inventore della musica. Il suo istrumento era la cetra o forminx, ed ei la sonava con grande abilità a sollazzo degli dei immortali, durante i loro conviti. .. Del divino suono della cetra di Apollo dà una bella descrizione Pindaro nella prima Pitica, ricordando come a quel suono si spegne il fulmine, l'aquila vinta dalle cadenze si addormenta sullo scettro di Zeus, Ares lascia in disparte le lance e tutti gli Dei sentono molcersi il cuore. .. Dirigeva anche il coro delle Muse, figlie di Zeus e Mnemosine; di qui il titolo di Apollo Musagete (Mousagetes, conduttore delle Muse); e celebri cantori dell'età mitica, come Orfeo e Lino, furono detti suoi figliuoli.
Ma la più grande importanza presso tutte le stirpi greche e fino ai più tardi tempi l'acquistò Apollo per l'attribuitogli potere divinatorio. Era creduto il profeta di Giove, e i suoi oracoli, considerati come l'espressione infallibile della segreta volontà del supremo Iddio, ebbero una notevole efficacia e nella politica degli Stati, e altresì nei destini delle famiglie. Di oracoli d'Apollo in antico ve n'erano parecchi, .. ma il più celebre senza contrasto era l'oracolo di Delfo.
.. I simboli di Apollo sono per lo più .. la cetra e la corona d'alloro [e, fra gli animali,] il delfino. «[E il] topo, animale imparentato ad Apollo, e il cui comportamento era considerato, nell'antica Grecia, particolarmente divinatorio.» (Luc Brisson [http://www.societa-ermetica.it/brisson.htm])
COSMOGONIA EGIZIA
di Massimo Polino
Al principio sono le acque di Nun, il caos nelle cui profondità giace addormentato lo spirito del creatore.
Gli Egizi non identificano in esse un principio negativo: si tratta di una sorta di 'brodo primordiale' in cui galleggiano, ancora informi, i germi della vita. Nun è il disordine del non-creato che si oppone all'ordine del creato; la sua esistenza non viene meno dopo la creazione quando "si estende sotto ogni luogo", contropartita del mondo organizzato pronta a riespandersi qualora l'equilibrio del cosmo venga meno.
Di qui emergerà la collinetta sabbiosa su cui, prendendo l'aspetto di una fenice, si poserà il creatore, Atum-Ra, il Sole, l'essere compiuto per eccellenza, colui che con la sua voce vincerà il silenzio.
"Tenendo il fallo in pugno ed eiaculando, diede vita ai gemelli Shu e Tefnut".
Un'altra versione sostiene che i figli del Sole nacquero da un suo sputo, o starnuto:
"Tu sputasti ciò che fu Shu, tu sputasti fuori ciò che fu Tefnut. Li circondasti delle tue braccia come braccia di un ka, perché il tuo ka era in loro."
.. Shu e Tefnut sono l'aria e l'umidità dalla cui unione nasce un'altra coppia, Nut, il Cielo, e Geb, la Terra. La prima è donna, il secondo è uomo e, nell'identificare la terra in un maschio e non viceversa, come vuole per esempio la tradizione indoeuropea, la cosmologia egizia è del tutto originale.
Originale è anche il ruolo di queste divinità nella costruzione della topografia dell'universo.
Si dice che l'amore di Nut per il fratello fosse tale che i due trascorressero la maggior parte del loro tempo abbracciati e poiché tra cielo e terra non c'era spazio sufficiente affinché la vita potesse prosperare, Atum-Ra dà incarico al loro padre Shu di intervenire. Questi obbedisce, calpesta Geb e solleva sulle palme delle proprie mani Nut che, da questo momento, è raffigurata piegata ad arco sopra lo sposo, con i piedi e le dita sul suolo, mentre la luna, il sole e le stelle ne ornano il corpo.
Si legge nei Testi delle Piramidi:
"Le braccia di Shu sono sotto il cielo perché lo possa reggere.".
Vedremo più avanti come Nut, a quella data, già portasse nel grembo la stirpe terrestre, il primogenito Osiride, il fratello e le due sorelle. .. Nut è il limite dell'universo al di là del quale è l'assenza di vita; il viaggio del Faraone, dopo morto, si compie sotto il suo corpo arcuato; alla fine del suo percorso diurno, il sole è per così dire inghiottito dalla dea e l'attraversa per poi rinascere all'alba tra una nebbia rossastra che segna il passaggio all'orizzonte orientale. È questa la frontiera fra il mondo sensibile e quello celeste, il punto in cui la terra e il cielo si congiungono, in cui gli uomini e gli dei sono più vicini. ..
Ermopoli è centro d'irradiazione di un mito della creazione poco diverso da quello eliopolita.
La materia primordiale vi è descritta con precisione quasi scientifica ed è popolata da otto creature divine, rane e serpenti, che nuotano nelle sue acque. Sono Nun e Naunet, le acque primigenie e stagnanti; Heh e Hehet, divinità dello spazio infinito simboleggiate dall'acqua che si spande e cerca la sua via; Kek e KeKet, l'oscurità; Amon e Amaunet, dei dell'ignoto, "il nascosto". Quattro coppie unite in un gruppo di otto, per gli Egizi la totalità perfetta, l'Ogdoade.
Sono "i padri e le madri che vennero in essere all'inizio, che fecero nascere il Sole e che crearono Atum".
La loro fusione diede origine ad un grande uovo, da cui sarebbe uscito il creatore.
Secondo altri le loro forze unite avrebbero dato vita ad un'esplosione, tale da creare dal nulla la terra.
Se si dà grande rilievo al tema delle origini, sia a Eliopoli sia a Ermopoli, si trascura quello della creazione degli uomini che pare essere contemporanea a quella del mondo e che, nella Leggenda dell'occhio di Ra, è raccontata così:
"Poiché ha perso il proprio occhio, l'occhio solare, Ra manda i figli Shu e Tefnut a cercarlo. I due però tardano a rientrare; nel frattempo l'occhio ritorna ed è costretto a prendere atto che, nel corso della sua assenza, è stato sostituito. Allora si mette a piangere e, dalle sue lacrime, nascono gli uomini. Per ripagarlo dell'affronto, Ra lo trasforma in serpente e se lo mette in fronte: il suo compito, d'ora in poi, sarà quello di fulminare i nemici del dio Sole.".
È interessante rilevare come, nella lingua egizia, le parole lacrima, remut, e uomo, remet, siano simili.
Prevale nelle due cosmologie la ricerca dell'equilibrio, dell'ordine: ogni fenomeno osservato deve avere il suo contrappeso, la creazione segna una linea di demarcazione netta tra il caos che precede e l'armonia che segue.
Infine, gli elementi dell'universo derivano tutti da una stessa sostanza e sono inoltre sostituibili, visto che ogni elemento ha la facoltà di rappresentare e trasformarsi in un altro.
Dal caos, la già nota Nun, nasce l'idea di Atum-Ra, il creatore, e prende corpo nel cuore divino identificato in Ptah. In un secondo tempo l'idea viene espressa dalla sua bocca, ancora Ptah.
"Ptah, il grande, è il cuore e la lingua dell'Enneade degli dei. Lui creò gli dei, nacque nel cuore e nacque sulla lingua qualcosa nella forma di Atum.";
"Grande e possente è Ptah che ha trasmesso il potere a tutti gli dei così come pure ai loro spiriti, attraverso questa attività del cuore e questa attività della lingua.".
L'evangelista Giovanni scrive:
"In principio era il Verbo, e il Verbo era in Dio, e il Verbo era Dio".
Ricordiamo che i Greci chiamano Logos, la coincidenza di pensiero e parola.
Il processo creativo non si arresta a questa fase: Ptah è
"...presente nel cuore e nelle bocche di tutti gli dei, di tutte le persone, di tutto il bestiame e di tutti gli esseri striscianti che vivono..."
egli dunque continua a creare là dove al suo cuore e alla sua bocca sia data possibilità di operare. Se
"...l'Enneade di Atum nacque dal suo seme per opera delle sue dita, quanto all'Enneade di Ptah furono i denti e le labbra della sua bocca che pronunciarono il nome di ogni cosa, e così nacquero Shu e Tefnut".
Prendono forma gli dei, sono tracciati i destini dell'umanità che il dio provvede a fornire di mezzi di sostentamento, viene definita una linea di demarcazione fra il giusto e l'ingiusto, si definiscono le arti e i mestieri, vengono fondate le città e dotati i loro governanti degli strumenti del comando.
"Così Ptah fu soddisfatto dopo aver creato ogni cosa.".
È facile pensare che quel ‘fu soddisfatto' diventò per gli Ebrei un più generico ‘riposò' e il riferimento al libro della Genesi è obbligato.
L'ANDROGINO
di Platone
«L'androgino è, soprattutto, il simbolo generalizzato della coincidenza e della riconciliazione dei contrari. .. La sua principale tendenza è volta al superamento, alla dissoluzione, alla negazione di una polarità sessuale. .. Asessuale è il destino fondamentale dell'androgino, ed ogni disputa sul sesso degli angeli è inopportuna poiché l'angelismo e l'androginia, nel discorso simbolico, tendono a sovrapporsi.» (Jean Libis)
.. In principio tre erano i sessi del genere umano, e non due come ora, maschile e femminile, ma ve ne era anche un terzo: .. il genere androgino, e il suo aspetto e il suo nome partecipavano di entrambi, del maschile e del femminile. .. La forma di ogni uomo era tutta rotonda, con la schiena e i fianchi che formavano un cerchio, e quattro mani e quattro gambe, e due facce sopra il collo rotondo, in tutto simili; e su entrambe le facce, orientate in senso opposto, un'unica testa, e quattro orecchi, e due sessi, e tutto il resto come si può indovinare da questi elementi. Camminavano diritti come ora, in qualunque direzione volessero; ma quando cominciavano a correre in velocità, come i saltimbanchi fanno capriole in cerchio portando le gambe in alto, così rotolavano rapidamente poggiandosi su quei loro otto arti.
Dunque tre erano i sessi e di questo tipo, perché il maschio traeva origine dal sole, la femmina dalla terra, e quello che partecipava di entrambi i generi dalla luna, dal momento che la luna partecipa del sole e della terra; erano rotondi e il loro moto era circolare perché erano simili ai loro genitori. Erano terribili per forza e possanza, e avevano grande superbia, e assalivano gli dei.
.. Zeus dunque e gli altri dei andavano discutendo su che cosa si dovesse fare con quelli, ed erano dubbiosi: non potevano infatti ucciderli e distruggere la loro specie fulminandoli come i giganti - sarebbero venuti così a mancare gli onori e i sacrifici da parte degli uomini -, né potevano permettere che fossero così insolenti. Alla fine Zeus, dopo tante macchinazioni, disse: «.. Taglierò ciascuno in due parti, e in tal modo diverranno più deboli e contemporaneamente più utili a noi perché saranno raddoppiati di numero; e cammineranno diritti su due gambe. E se ancora sembreranno comportarsi con insolenza e non volersene stare tranquilli, allora di nuovo li taglierò in due, così che cammineranno saltellando su una sola gamba». .. Dopo averli tagliati, .. Apollo girava il volto, e tirando da ogni parte la pelle verso ciò che oggi si chiama ventre, la annodava, come si fa con le borse legate con un nodo, formando un'apertura nel mezzo del ventre, nel cosiddetto ombelico.
.. Dopo che la natura umana fu tagliata in due, ogni parte, per il desiderio della propria metà, le si attaccava, e gettandosi le braccia intorno e intrecciandosi l'una all'altra, desiderando formare un'unica cosa, morivano di fame e di inedia, per non voler fare niente separate l'una dall'altra. E quando una delle metà moriva, e l'altra sopravviveva, quella rimasta cercava un'altra metà e si stringeva a quella, sia che si imbattesse nella metà di una donna intera - ciò che ora chiamiamo donna - sia di un uomo; e così morivano.
Zeus allora, avendone compassione, escogitò un altro sistema, e trasferì i loro genitali sulla parte davanti - fino ad allora li avevano sulla parte esterna, e generavano e partorivano non fra di loro, ma in terra. .. Affinché, se nell'amplesso si incontrassero maschi e femmina, generassero e originassero la discendenza; se invece un maschio si incontrasse con un altro maschio, vi fosse appagamento in quell'unione e smettessero e si rivolgessero alle loro attività e alle altre occupazioni della vita. Dunque da tanto tempo l'amore vicendevole è connaturato negli uomini, e restaura l'antica natura cercando di fare da due un'unica creatura e di risanare la natura umana.
Ciascuno di noi dunque è la metà di un essere umano, tagliato come lo sono le sogliole, due pezzi da uno; e ciascuno ricerca sempre la propria metà. Quanti tra gli uomini derivano dal taglio del genere misto, che allora era chiamato androgino, amano le donne e da questa origine deriva la maggior parte degli adulteri; allo stesso modo provengono da questa radice quante delle donne amano gli uomini e sono adultere. Le donne invece che sono parte di femmina, queste non pensano agli uomini, ma piuttosto sono attratte dalle donne, e da questo genere derivano le omosessuali.
Quanti invece sono parte di maschio, inseguono il maschio, e finché sono fanciulli, essendo pezzetti di maschi, amano gli uomini, e godono a giacere e ad abbracciare gli uomini, e sono i migliori fra i fanciulli e i ragazzi, perché sono i più virili per natura. Alcuni li reputano svergognati, ma non è vero: non per impudenza infatti si comportano in questo modo, ma per la loro natura coraggiosa e forte e virile, amando ciò che è loro simile. Grande prova di ciò è il fatto che questo genere soltanto di uomini, una volta raggiunta la maturità, riesce nelle attività pubbliche. Quando raggiungono l'età adulta, amano i ragazzi e la loro natura non è incline al matrimonio e alla procreazione, ma vi sono costretti dalle convenzioni; sarebbero altrimenti felici di vivere fra loro senza sposarsi. Un tale uomo è il vero amante di fanciulli e il vero innamorato degli amanti, sempre proteso a chi gli è congeniale. E quando a qualcuno di questi, all'amante dei fanciulli o a qualsiasi altro, capita di incontrare la propria metà, allora sono con un tale impeto catturati dall'amicizia e dall'intimità e dall'amore, che non vogliono per così dire rimanere lontani l'uno dall'altro neppure per poco tempo. Questi sono coloro che passano insieme tutta la vita, e non saprebbero dire che cosa desiderano l'uno dall'altro. A nessuno infatti sembrerebbe che si tratti soltanto del rapporto amoroso, come se a causa di questo ciascuno desiderasse stare con l'altro con così veemente passione; ma è chiaro che l'anima di ciascuno desidera qualcosa di diverso, che non sa esprimere, ma riesce ad indovinare ciò che vuole e lo manifesta per enigmi.
«Secondo .. Platone, .. la possibilità dell'unione sessuale accordata da Zeus agli uomini in realtà non è altro che un ripiego. Nell'agitazione che conduce i corpi ad unirsi, in questo tipo di terror panico da cui peraltro non è escluso il grottesco, accade che non vengano realizzati effettivamente né l'androginato primitivo, né la completa simbiosi degli amanti.» (Jean Libis)
Vedi anche: "L'androgino alchemico" di Elemire Zolla
La bisessualità nell'antichità Greco-Romana
di Luc Brisson
LA TEOLOGIA ORFICA
«Orfeo ha insegnato che sono Re gli dei che sovrintendono a ogni cosa, conformemente al numero perfetto (6 = 1 + 2 + 3 = 1 x 2 x 3), Fanes, la Notte, Urano, Cronos, Zeus, Dioniso. Fanes in effetti è il primo a tenere lo scettro: "In primo luogo ha regnato l'illustre Eriképaios". In secondo luogo viene la Notte, che ha ricevuto lo scettro da suo padre. Urano l'ha ricevuto per terzo da sua madre, Cronos per quarto, quando, come si dice, fece violenza a suo padre. Zeus per quinto quando si rese signore di suo padre, e dopo di lui, per sesto, Dioniso». (OF 107 = PROCLO, Commento al Timeo di Platone III, 168. 17-25).
Riprendiamo nei dettagli, completandola, questa testimonianza di Proclo. E con Cronos ageraios (il tempo «che non invecchia») che questa seconda versione della teogonia orfica ha inizio. Da Cronos nascono l'Etere e il Caos (OF 66). Nell'Etere, Cronos crea un uovo (OF 70), che si apre in due, lasciando uscire Fanes (OF 72), il primogenito degli dei. Meravigliosamente bello e raggiante di luce, il suo collo è sormontato dalla testa di differenti animali (OF 79), e alle sue spalle sono attaccate due ali d'oro. È bisessuato (OF 81). Egli che porta la semenza di tutti gli altri dei, è chiamato Fanes, Metide, Protogenia, Eriképaios, Eros e perfino Dioniso (OF 105, 109). Fanes trasmette il potere alla Notte (OF 101, 102), che gli dà due figli, Urano (il Cielo) e Gaïa (la Terra) (OF 109), i quali, a loro volta, generano in particolare i Titani e le Titane (OF 114 e segg.) e quindi Cronos e Rea. Così come raccontato da Esiodo nella Teogonia, Cronos mutila suo padre (OF 127) che, con i suoi abbracci eccessivi, impedisce ai figli che Gaïa gli ha dato di vedere la luce. Poi Rea usa un sotterfugio per salvare Zeus dall'essere inghiottito, ed egli libera i suoi fratelli e le sue sorelle e si impadronisce del potere (OF 148-157). A questo stadio, il processo delle generazioni si arresta per realizzare un nuovo punto di partenza: la teogonia propriamente detta fa posto alla cosmogonia. Perché, su consiglio della Notte, Zeus inghiotte Fanes. E, a partire dall'unità così ricostituita in lui, dal momento che con il suo gesto è divenuto l'inizio, il centro e la fine di ogni cosa, crea l'universo (OF 168). Proprio come Fanes, Zeus è bisessuato; ha come contraltare una divinità femminile che è ad un tempo sua madre, sua sorella, sua figlia e soprattutto sua moglie con il nome di Rea, Demetra e Core (OF 145, 198). Ma improvvisamente Zeus trasmette il potere a un Dioniso ancora bambino (OF 207). Con Dioniso, la cosmologia viene sostituita dall'antropogonia. Attirato in un imboscata, il bambino viene ucciso dai Titani che lo tagliano a pezzi, poi lo mangiano, dopo averlo cotto secondo una ricetta inversa a quella del sacrificio tradizionale di tipo prometeico16. Soltanto il cuore viene salvato da Atena che lo porta a Zeus, perché faccia rivivere Dioniso. Per vendicarne la morte, Zeus colpisce con la folgore i Titani e li brucia. E, dalla fuliggine che si deposita dalla fumata di tale combustione, nascono gli uomini la cui costituzione è duplice: una parte del loro essere deriva da Dioniso, ed un'altra dai Titani che lo hanno ingerito (OF 210 e seguenti). [Zeus : Dioniso = Osiride : Horus ndJB]
INNO A ZEUS (OF 168)
Zeus è nato per primo, Zeus dalle brillanti saette è l'ultimo.
Zeus è la testa, Zeus è il centro, da Zeus hanno avuto origine tutte le cose.
Zeus è nato maschio, Zeus è un giovane vergine immortale.
Zeus è il supporto della Terra (Gaïa) e del Cielo stellato (Urano).
Zeus è re, solo Zeus è il primo artefice di tutti gli esseri.
È nato sovrano unico, unico daimon, potente monarca dell'universo.
Unico è il suo corpo reale, nel quale si muovono in cerchio tutte queste cose:
il fuoco, l'acqua, l'aria, la notte, il giorno
e Metide, primo generatore, e il delizioso Eros.
Infatti, tutte queste cose si trovano nel corpo del grande Zeus.
La sua testa e il viso di bell'aspetto
sono il cielo rifulgente di luce. Tutto attorno volteggiano i
capelli d'oro degli astri marmorei.
Alle sue due estremità si levano due corna taurine d'oro,
il levante e il ponente, che delimitano il corso degli dei celesti.
I suoi occhi sono il sole e la luna che lo fronteggia.
Il suo proprio intelletto; senza menzogna, reale è l'imperituro etere,
attraverso il quale tutto sente, tutto osserva; e non esiste
né voce umana, né clamore, né rumore eclatante, né altro rumore
che sfugga alle orecchie di Zeus, il potentissimo figlio di Cronos.
Ecco qual è la sua testa immortale e la sua intelligenza.
Il suo corpo è brillante come il fuoco, immenso, incrollabile.
È stato costruito intrepido, robusto, molto potente e inamovibile.
Le spalle del dio, il suo petto, l'ampia schiena,
è l'aria molto potente, e sulle spalle gli hanno messo delle ali,
grazie alle quali volteggia ovunque. Il suo santo ventre,
è la terra, madre universale, e le cime elevate delle montagne.
Al centro del suo corpo, vi sono le onde del mare dal boato profondo;
e più in basso i suoi fondamenti, sono le radici all'interno della terra,
il vasto Tartaro, i limiti estremi della terra.
Dopo aver nascosto tutto questo, di nuovo Zeus, per ricondurlo alla luce che dà gioia, doveva, con un'operazione meravigliosa, trarlo dal suo cuore.
.. Zeus è contemporaneamente .. maschio/femmina, cielo/terra. .. La cosa è tanto più interessante in quanto la bisessualità in certi trattati gnostici gioca un ruolo considerevole, e in particolare nel quinto trattato del codice II scoperto vicino Nag-Hammadi.
Questo scritto, datato agli anni 330-340 d.C. da un punto di vista paleografico, ma il cui contenuto risalirebbe, essenzialmente, alla seconda metà del II secolo d.C., sviluppa una teo-cosmo-antropogonia che appare un tentativo di sintesi tra il giudaismo e la religione popolare di un Egitto in cui l'influenza greca era determinante.
.. L'uccello Fenice, i serpenti e due torri, [erano] tre simboli «egizi» del paradiso (NH II 5, 169.35 - 171.2). .. La tripla Fenice - quella immortale, quella che vive mille anni e quella che viene distrutta - è la sintesi dei tre tempi - cosmogonico, storico ed escatologico. .. Questo uccello straordinario, che è bisessuato, costituisce un simbolo di resurrezione.
.. Nell'antica Grecia, il primo autore che parla della Fenice, favoloso uccello originario dell'Etiopia, .. è Erodoto (II, 73), [ma] fu nel IV secolo d.C. che il mito della Fenice conobbe la sua maggiore popolarità nel mondo greco-romano. Allora, infatti, apparvero delle opere a lei interamente dedicate. Lattanzio e Claudiano composero, entrambi, un poema in suo onore. All'inizio del Basso Impero, .. l'Impero, impegnato a risollevarsi dalla decadenza politica e sociale in cui versava, faceva della Fenice un simbolo di continuità e di rinnovamento. D'altronde, i cristiani vedevano in questo mito onorato dai pagani, un argomento ad hominem in favore della resurrezione: quella del Cristo e quella della carne.
L'aspetto generale della Fenice è quello di un'aquila di considerevole grandezza ed il cui piumaggio si fregia dei colori più belli: rosso fuoco, azzurro chiaro, porpora ed oro. Generalmente sono tutti concordi nell'affermare che visse in Etiopia, durante un periodo di tempo che, a seconda degli autori, varia tra 500, 1461 e perfino 12954 anni. Quando la Fenice sente giungere la fine della sua esistenza, raccoglie delle piante aromatiche e dell'incenso per costruirsi una specie di nido, che sarà ad un tempo la sua tomba e la sua culla, perché, unica nella sua specie, la Fenice non può riprodursi che rinascendo. Secondo alcuni autori, l'uccello dà fuoco al nido sul quale riposa, e dalle ceneri di questo rogo profumato sorge una nuova Fenice. Secondo altri, la Fenice muore nel suo nido che ha, precedentemente, impregnato della sua semenza. Allora, nasce una nuova Fenice, che raccoglie il cadavere di suo padre e lo porta ad Eliopoli per farlo ivi bruciare dai sacerdoti del Sole sull'altare del dio. Terminata la cerimonia o subito dopo la sua rinascita, l'uccello ritorna in Etiopia per un altro periodo di tempo [Spesso per gli alchimisti l'Etiopia indica l'Opera al nero - n.d.t.]. Si capisce quindi come la durata della vita della Fenice sia stata paragonata a quella del «grande anno». Inoltre, sembra assolutamente naturale che la Fenice, di per se stessa principio e fine in una serie infinita di cicli, sia un essere bisessuato:
«Ch'egli sia maschio o femmina o anche né l'uno né l'altra,
Felice essere, che ignora i legami di Venere!
.. Per poter nascere, aspira a morire.
È figlio di se stesso, suo discendente, suo padre.
È ad un tempo nutrice e nutrito.»
(Lattanzio, Poema sulla Fenice 163-168)