Il capitolo che originariamente chiudeva la PARTE PRIMA del Libro.
Ironia della sorte: dopo esser rimasto per molti anni sul sito, sotto la dicitura "un estratto dal mio Libro attualmente in fase di stesura", alla fine ho dovuto tagliarlo! :_)
Ero a Milano. "Ero" così come lo si può essere nei sogni: tant’è che qualcosa mi ricordava Bisanzio (proprio quella dei tempi che furono: Fozio, il primo scisma..), e qualcos’altro un paese del nord-Africa (l’Egitto?). O forse la Grecia: tutti quegli edifici bassi, in muratura grezza affrescata di bianco.. Alla ricerca di una icona sacra, l’effige della Madonna, che in qualche modo mi chiamava a sé, ricattandomi con una sete inestinguibile che avrei potuto placare solamente ricongiungendmi ad essa. Come re Artù alla ricerca del santo graal, o la stele degli antichi che era stata destinata a Kenshiro, erede della dinastia di Hokuto.. Dopo aver girovagato qua e là per le viuzze soleggiate di quel paesino ridente, eppure all’apparenza disabitato, m’imbatto in una chiesa: all’esterno, il Duomo di Milano; all’interno, una basilica ortodossa. Forse una moschea. Certo era ben strano, passare dal centro di una cittadina, cementificato, a una - per quanto imponente - umile chiesa di campagna! Sì, perché contiguo alla sacrestia v’era un corridoio col soffitto a botte, piccolo ed antico, che conduceva all’aperto: un chiostro nascosto, infatti, un giardino segreto, era custodito dal lato sinistro della basilica. Era appena terminata la funzione del mattino, riconoscibile a colpo d’occhio per via dell’esiguo numero di partecipanti - sicuro, alcuni potevano essere già usciti, però il numero delle persone che ancòra si attardavano (anziani e rugosi signori dai capelli radi, stancamente seduti sulle panchine, la mano tremolante avvinghiata al bastone, e l’aria esausta di chi non ha proprio voglia di alzarsi; vecchie comàri in piedi sul lato del corridoio, a gruppi di due o tre..) era tale da far pensare che la messa fosse finita da pochi minuti appena. Ricordo che mi ero recato lì per aspettare Aaron. Saranno tre anni che non ne ho notizie: gli ho giusto scritto una cartolina ad Agosto, ma non si è fatto sentire. I casi sono due: o ha smarrito il mio numero di telefono, oppure si è perduto in qualcuna delle realtà virtuali - che lui programma (conoscendolo) innanzitutto per sé, per poi concederle alla ditta che lo stipendia per questo. Spaziai tutt’intorno con lo sguardo.. Niente: a parte le panche vuote, gli anziani seduti, e qualche sporadico capannello di comàri, nessuna traccia di Aaron.
<Che sia già uscito?>
Così mi accodo agli ultimi "sfollanti", che escono passando per il chiostro - suppongo per fare prima. Invece, mi ritrovo in un giardino: circondato alla mia sinistra da un muro basso verniciato ecrù, rampicanti (più le fronde dei rami che stanno dall’altra parte) a coprirne la sommità; e, in fondo al vialetto di ghiaia, una specie di cancellata verde: chiusa (forse con una catena e un lucchetto). Accanto alla cancellata, un piccolo edificio che ha tutta l’aria di essere una cappella votiva: sarà stato quello, saranno state le viuzze ortogonali di ghiaia che delimitavano le aiuole quadrate, pare di stare in un cimitero. Un cimitero "allegro", però, a cominciare dal fatto che non ci sono tombe, ma solo gracili alberelli, prati, bambini che giocano a pallone.. E un monaco barbuto sulla quarantina, dai capelli ispidi e il cilicio ben stretto, il cappuccio rivoltato sulle spalle come quello di chi è solito tenerlo alzato, testa bassa e mani aperte come a reggere un libro invisibile - il modo di pregare dei musulmani, se non vado errando. Se ne stava lì, insieme estatico e sofferente, sul margine di un’aiuola coltivata a mosaico vegetale, inginocchiato innanzi a una specie di targa appesa sul tronco dell’alberello che stava nell’angolo in basso a destra rispetto all’aiutola. Ricordo che non osai leggerla, per rispetto del suo raccoglimento. I miei passi erano silenziosi, e la sua concentrazione profonda - tant’è che non mi aveva udito arrivare, così come non faceva caso agli schiamazzi dei bambini. D’un tratto, però, come se un guizzo di telepatia gli avesse rivelato che io mi ero accorto di lui, interruppe la sua preghiera e si voltò a guardarmi dritto negli occhi: vi era un che di fiero nello sguardo, che mi aggredì, ma gli ci volle un solo attimo speso a frugare nei miei occhi per fargli mutare drasticamente atteggiamento: dapprima, un sorriso dolcissimo (anche troppo, per un re saggio par suo) gli si dipinse raggiante in volto; poi, un che come a dire "Sia ringraziato il cielo che sei arrivato, amico mio!"; infine, una profonda dimostrazione di rispetto e venerazione che mi lasciò alquanto confuso ed imbarazzato: accovacciato con un ginocchio a terra, fece muto voto di vassallaggio.
<Álzati, ora, e torna alle tue orazioni.>, lo esortai amichevolmente, poggiandogli la mia mano sinistra sulla sua spalla sinistra: il gesto faceva evidentemente parte di un rituale, che tuttavia espletai con l’aria semi-seria di chi è un po’ annoiato da tutte quelle formalità. Come lo toccai, ebbe un sussulto - neanche gli avessi appoggiato addosso un ferro rovente! Ma non era dolore, quanto piuttosto indescrivibile meraviglia che io gli concedessi la grazia di toccarlo. Con movimenti un po’ ebeti del capo, come a dire "Sì sì", fece qualche passo indietro, sempre inginocchiato. Poi lo vidi tornare quel "macigno" che era, rapìto nella sua preghiera. Dedussi che quel re-monaco si trovava lì come segnale per guidarmi lungo la via: in avanti, dunque, no; a sinistra c’è il muro.. A destra, dunque. Poco prima di svoltare, noto con la coda dell’occhio una bianca statua di pietra, e davanti ad essa un penitente: era una statua che raffigurava la Madonna. Solo allora mi sovvenne qual era la ragione che mi aveva mosso: era come se l’avessi conosciuta da sempre, ma dimenticata lungo le vie chiassose della città: era stato il raccoglimento sacrale di quel luogo a farmi tornare in me. Eppure..
<È strano: quella è soltanto una statua. Nient’altro che un pezzo di pietra.>
Le mie percezioni non mutavano neppure avvicinandomi, anzi trovavano conferma nell’aria sinistra che emanava dal losco figuro che se ne stava lì, appostato come un assassino, un subdolo sorriso tagliente sulle sue labbra, sipario di denti aguzzi e marci come marcia era l’anima che li digrignava. Passai oltre con passo maestoso e cadenzato: quel miserabile era lì per me, ma non osò (o non gli riuscì?) muoversi - non un singolo muscolo. E così, non potendosi addentrare oltre, fallita la sua missione di assassinarmi disparve. Quand’ecco.. Al mio risveglio, la mattina seguente, potevo ancòra assaporare gli strascichi della Beatitudine che mi aveva investito in quel preciso istante del sogno. ..riconobbi il luogo dove mi trovavo dal labirinto, il perché eterno dal dubbio perenne, e fu come se ogni essere inanimato che mi circondava mi avesse riconosciuto in un solo momento, e mi salutasse esultando. Scoppiai in lacrime di gioia, scosso com’ero forse traballai pure un poco, ma continuai a camminare senza neppure vedere dove stavo andando - e che importava? Stavo andando sicuramente nella direzione giusta. Subitanea com’era venuta, la Beatitudine disparve come una parentesi che si chiude: un Paradiso che ti dice "Arrivederci a presto" e taglia fuori la Luce dietro a una porta. Ma non me ne rammaricai, anzi: fui grato per quell’esperienza vivificante che mi era stata donata poco prima del raggiungimento della mia meta.. E in essa mi c’imbattei, quasi nel senso letterale della parola: era sbucato come dal nulla, come il muro per chi cammina a testa bassa, e mi sovrastava nella sua divina imponenza. Tuttavia non la temevo, come invece Mosè temeva la colonna di fuoco. Ne ero affascinato, questo sì. Incuriosito, ma con quel certo distacco che traspare da un esperto d’arte davanti al quadro di un autore famoso: la si potrebbe definire "una sacrale ammirazione". Già. Perché, come mi accorsi sùbito dopo aver fatto un passo indietro per osservarlo nella sua totalità, non si trattava di una statua della Madonna, ma di un quadro. Dipinto, credo a olio, su un pannello di legno liscio, un legno povero, poco meno grezzo del compensato, dello spessore di neanche un centimetro, appeso a circa un metro da terra sul muro di cinta del chiostro, là dove il muro di cinta si riuniva alla chiesa che lo generava come in un "materno" abbraccio protettivo. Un dipinto antico, senza ombra di dubbio. A fatica ne decifravo la data, scritta stranamente in grande, e pure un poco storta, a sinistra del centro del quadro: "anno 1028?" - proprio col punto di domanda. Quanto al giorno e al mese, erano illeggibili: i secoli avevano scrostato un po’ di vernice, e vandali avevano deturpato con le loro piccole scemenze una grande opera d’arte. Un quadro strano: raffigurava a tinte scure, direi quasi lugubri, una Madonna sospesa su sfondo nero, che sotto ai suoi piedi schiacciava una massa informe - intenzionalmente dipinta con un ghirigoro infantile: una specie di turbine, proprio come i bambini disegnano i capelli ricci, oppure il fumo che esce dai comignoli. Cercai una targhetta con il titolo del quadro. Perlomeno, una che recasse il nome dell’autore. Stava scritto dalla stessa pennellata della mano che aveva apposto la data in fondo al quadro, un quasi invisibile nero su sfondo nero: "Jacopo" e poi qualcosa che sembrava una traslitterazione in greco antico del cognome. Dissi a me stesso un rabdomantico "E te pareva!" al pensiero che, come sempre nella mia vita, le "coincidenze" si sprechino.. Quand’ecco apparire alle mie spalle una famigliola di turisti con le macchine fotografiche a tracolla, pantaloncini corti, espadrillas colorate e il ridicolo cappellino "da pescatore all’alba". Forse tedeschi accompagnati da un loro amico italiano che gli faceva da cicerone. Bene, costui mi scansò alquanto irrispettosamente con una spallata, e recitò il suo disco:
<Jacopo Citterio: un pittore minore.>
La C l’avevo capìta pure io. La I sembrava un taglietto. Ma fra la doppia T che sembrava un pi-greco e la E disegnata come una sigma.. beh, a volte i misteri me li vado proprio a cercare, laddove una spiegazione più semplice sarebbe stata anche quella più plausibile! Lasciai il tizio ai suoi blah blah, e approfittai del fatto che il gruppo si era accalcato proprio lì davanti per andare a dare un’occhiata al quadro da più lontano. Da un tre-quattro metri di distanza, la percezione del tutto si faceva assai più nitida: tanto per incominciare, la Madonna spiccava sulle tenebre. E quel ghirigoro astratto si rivelava essere una specie di biscione raffigurato in una prospettiva tale da farlo sembrare lunghissimo, come originato dalle profondità del quadro e lì-lì per sbucarne fuori se solo la Madonna non l’avesse acchiappato col piede. Poi, quelle che da vicino sembravano aloni di polvere, erano in realtà folate di vento che la Madonna cavalcava (o generava?). Inoltre, chissacome dissimulàti ad un’osservazione da vicino, volti angelici alati che soffiavano a loro volta contro quel biscione nero ed informe.
<"Nostra signora della lumaca">, concluse il cicerone, e fu l’unica cosa che udii di tutto il suo panegirico - ma più che abbastanza per stimolare il mio interesse. E così lo fermai, mentre lui seguiva in coda al suo gruppo diretto altrove: <Scusi, come ha detto? "Nostra signora della lumaca"?> <Esattamente. Ma lei farebbe meglio ad allontanarsi, adesso.>
Tutto sembrava normale: nessuno aveva il minimo sentòre della tempesta che stava sopraggiungendo ad oscurare il cielo con nuvole scure e minacciose.. i bambini ancòra giocavano al pallone.. finchè uno di loro lo calciò (volutamente?) contro il quadro, che cominciò a vibrare di un rumore che pareva essere quello di un millepiedi gigante sopra un’asse di legno.. il lumacone!! Così fuggii, a perdifiato attraverso tutta quella normalità che rendeva ridicolo il mio fuggire: tutti ridevano di me, inclusa la guida turistica (ma lui rideva per un altro motivo). Il re-monaco non c’era più, il giardino era diventato un cimitero brulicante di croci, era improvvisamente scesa una notte afosa da soffocare, lugubri baluginii sulle tombe fosforescenti di luce lunare che a fatica filtrava attraverso le nuvole, e tutto quanto mi vorticava intorno.. Mi ripresi dal panico, e mi ritrovai chissàcome davanti alla porta del soggiorno di casa mia: era buio, notte fonda.. Aprii la porta della camera dei miei con la massima cautela di non far rumore: il babbo dormiva, la mamma credo pure - ma si accorse della mia presenza lì e, girandosi verso di me illuminata da una lama di luce lunare (questa volta benevola) che entrava dalla finestra, mi disse assonnata: <Che c’è?>, accennando ad alzarsi per venire a parlare con me in cucina. <Sst! Non svegliare il babbo. Stai pure lì, ti racconterò poi: adesso devo andare da ..> |
Sulla sinistra, lo "schizzo" del quadro che ho abbozzato al mio risveglio, inclusa la mappa approssimativa del "duomo" con annesso giardino. Sulla destra, la "Immacolata Concezione" del Tiepolo che ho trovato su una rivista nel 1998 - dopo che le ho apportato le dovute (lievissime) modifiche. Da notare la colomba sopra la Madonna (il simbolo che in occidente ha sostituito la Fenice, pur continuando a rappresentare lo Spirito Santo), l’insolito serpente (che ha la testa di drago) e le mani della Madonna (che non sono giunte, ma formano un triangolo all’altezza del cuore). Nel dipinto originale, non scurìto, si nota inoltre che l’angioletto ai piedi di Maria reca un bel giglio (Beau-Lis, da cui è derivato il cognome di mia madre: Bolis), e che il fumo che si leva da terra (passando sotto la palma, magari proprio la "mia" Phoenix Campestris Palmae!) origina dalle nuvole, serpeggiando dietro la roccia ov’è poggiata l’Immacolata. Fai un po’ tu: io a vederla ci sono rimasto di sasso. |