Gilgamesh (1992)
Remote memorie d'argilla
Dice Battiato
Prologo
Primo atto
Secondo atto
Remote memorie d'argilla di Angelo Arioli
"Proclamerò al mondo le imprese di Gilgamesh, l'uomo a cui erano note tutte le cose, il re che conobbe i paesi del mondo. Era saggio: vide misteri e conobbe cose segrete: un racconto egli ci recò dei giorni prima del Diluvio. Fece un lungo viaggio, fu esausto, consunto dalla fatica; quando ritornò si risposò, su una pietra l'intera storia incise".
Con simili parole inizia una delle verioni in prosa dell'epopea di Gilgamesh, tesoro letterario tra i più antichi inciso in caratteri cuneiformi su tavolette d'argilla rimaste per millenni sepolte e solo nell'ultimo secolo disseppellite da archeologi tenaci, e poi decifrate da filologi instancabili. Un documento poetico che ci riconduce ad epoche remote della storia che videro il sorgere, il declino, il sovrapporsi di civiltà raffinate da noi comunemente relegate in recessi della memoria, ove vengono evocate da parole come Sumeri, Assiri, Babilonesi..
Testo antico, i cui primi frammenti reperìti, scritti in lingua sumerica, risalgono intorno al 2150 avanti Cristo, ai quali poi si aggiunsero redazioni posteriori in lingua accadica (gli uni e gli altri dissotterrati nelle antiche città mesopotamiche di Ninive, Ur, Nippur), e ulteriori frammenti provenienti dalla Palestina, dalla Siria, dall'Anatolia, a riprova della sua diffusione geofrafica confermata dall'esistenza di traduzioni in altre lingue del passato come l'ittita e l'hurrita. Un mosaico incompleto di tavolette appartenenti ad epoche, lingue, aree diverse, alla cui ricostruzione definitiva tuttora ostano difficoltà testuali, filologiche e interpretative. Un labirinto di segni, un intarsio frammentario di storie e leggende, probabilmente trasmesse oralmente e poi incise su argilla, nel quale tuttavia si staglia nitida la figura dell'eroe: Gilgamesh.
Sovrano di Uruk, la biblica Erech, identificata nel sito iracheno di Warka ai bordi dell'Eufrate, per due terzi divino e per un terzo umano, signore incontrastato cui gli dèi per frenarne la tracotanza inviano enkidu, dapprima suo avversario e poi suo fedele compagno. Con Enkidu, Gilgamesh, che persegue la fama e desidera eternare il suo nome con una grande impresa, volge verso una foresta di cedri oev si cela Khumbaba, possente forza del male, per liberare la Terra dalla sua presenza. Sconfitto Khumbaba e acquisita ulteriore fama e potenza, Gilgamesh rifiuta di giacere con la dea Ishtar e assiste addolorato alla morte dell'amico Enkidu. Rimasto solo Gilgamesh tenta l'ultima umana impossibile avventura, quella di eludere la morte. Si mette in viaggio alla ricerca di tnapishtim, l'unico umano cui gli dei concessero vita eterna. Per raggiungerlo affronta un viaggio estenuante che lo conduce dapprima al giardino degli dei, poi all'incontro con la divina Siduri la quale tenta di dissuaderlo dall'impresa rammentandogli che gli umani hanno per fato la morte e i piaceri della vita, e tuttavia gli indica l a via da attraversare: l'Oceano delle acque mortali. Aiutato da un traghettatore, Gilgamesh naviga su quelle acque e giunto davanti all'umano immortale ascolta da questi il più antico resoconto del Diluvio e un segreto degli dei: un fiore d'acqua che assicura l'eterna giovinezza. Gilgamesh coglie quel fiore, ma nel viaggio di ritorno verso Uruk, mentre si bagna ad una fonte, un serpente gli ruba il fiore. Tornato ad Uruk Gilgamesh incide su pietra la sua storia e come per ogni mortale si conclude la sua vita.
L'ipotesi che il Gilgamesh dell'epopea sia il riverbero leggendario d'un sovrano effettivamente esistito, è armai accettata dagli studiosi che ne fissano l'epoca in un periodo di tempo oscillante tra il 2800 e il 2500 avanti Cristo, col tentativo altresì di intravedere oltre il velo affabulante della narrazione epica probabili eventi storici di quel periodo, o meglio la registrazione in chiave mitografica delle fasi più significative che ritmarono l'evolversi delle antiche civilizzazioni mesopotamiche. Interpretazioni plausibili, forse meno suggestive di quella per cui l'antica mitologia antica, e specialmente l'epopea di Gilgamesh, altro non sarebbe che la complessa, oggi a noi imperscrutabile, scrittura dell'eterno spettacolo dai moti degli astri nell'orizzonte celeste.
Quale che sia il decreto degli specialisti, il fascino dell'avventura umana di Gilgamesh permane immutato nel tempo per diversi motivi. sono vicende note che evocano altre storie già sentite. L'intera vicenda di Gilgamesh, ad esempio, si ripercorre, con le ovvie ed inevitabili varianti, in un episodio delle Mille e una notte. Chi vuole scorgerà la replica di Gilgamesh nel conquistatore invincibile a noi più familiare, in quell'Alessandro che instancabile varca gli orizzonti alla ricerca dell'introvabile Acqua di Vita, l'acqua che rende immortali. Per altri momenti delle vicende di Gilgamesh è stata osservata la somiglianza con equivalenti reperibili nell'Odissea..
Ma al di là di questi accostamenti puntuali, che suggeriscono l'eventualità di un antico patrimonio comune di leggende diffusosi nel tempo in un'area vastissima, l'epopea di gilgamesh ripropone, in una delle versioni più antiche, il destino tragico d'ogni essere umano: la sua ansia di eludere la sorte già decretata, di imprimere un segno indelebile nel tempo che fluisce perenne, di trascendere l'umana natura qualunque sia - e ogni epoca ha il proprio - l'Oceano d'acque mortali o di spazi siderali da varcare. Ma per quanto in alto proietti la sua parabola tesa a lambire il cielo dall'eterno, qualunque sia l'Acqua di Vita effimeramente perseguita o illusoriamente acquisita, essa ineludibilmente si conclude in Terra, dove ognuno a suo modo rende l'ennesima testimonianza di quanto sia vano rincorrere il vento, e incide su argilla la propria storia.
Gilgamesh è un re, per due terzi divino e per un terzo mortale, che si comporta male ed è una persona violenta. Gli viene mandato Enkidu, e dal loro scontro nasce una profonda amicizia. Attraverso questa amicizia Gilgamesh migliora. "Secondo me questo mito va visto così: il libero arbitrio, che ogni persona ha come dono divino, viene usato male. Attraverso l'incontro con Enkidu, Gilgamesh conosce la sottomissione e l'umiltà all'autorità divina"
(da: Franco Battiato, Tecnica mista su tappeto, conversazioni autobiografiche con Franco Pulcini, (c) 1992 E.D.T. Edizioni di Torino, pag..113-123)
Nell'antica città di Uruk, in epoche perdute della memoria, regnò Gilgamesh: colui che tutto intravide. L'eroe a cui i misteri furono manifesti. Estraete la tavoletta di lapislazzuli e leggetela, la storia di quest'uomo che patì sofferenze di ogni genere. Cercò la vita eterna, raggiunse Utnapishtim "il Lontano", e la completa saggezza. Per due terzi divino e per un terzo mortale, come sole possente, invincibile, regnava in Uruk, città dalle mura ben salde, e soverchiava tiranno i suoi sudditi contrariando gli dei. E gli dei convennero di dargli un avversario, pari in forza e bellezza: in Terra precipitarono una stilla di firmamento.. ed ecco sorgerne Enkidu, figlio del silenzio, saetta di Ninurta, delle umane cose ignaro. Enkidu, reso umano dall'abbraccio di donna (una sacerdotessa del tempio di Ishtar), verso Uruk si avvia a sfidare Gilgamesh che ne divina nel sogno le mosse e gli intenti. L'incontro è scontro d'astri tremendo, e tremano le mura e sussultano i telai delle porte allo schianto dei corpi avvinghiati alla lotta. Soggiace infine Enkidu, e Gilgamesh vittorioso l'abbraccio gli tende, suggello d'eterna amicizia. Terribile prova ora attende i due amici: nella remota foresta labirinto trapunto di cedri, ove il viaggio si fa passo di danza, sta Khumbaba potenza del male, terrore di umani. "Trema la Terra e freme / ignara della sorte del combattimento.. / e buio e luce insieme".
Utnapishtim e moglie di Utnapishtim
Il re di Uruk sfida le forze oscure della foresta al fianco di Enkidu.
Popolo di Uruk
Trema la Terra e freme ignara della sorte del combattimento, e buio e luce insieme. Gilgamesh! Enkidu! Khumbaba!
Utnapishtim, moglie di Utnapishtim e popolo di Uruk
Era felice Gilgamesh in quella vita, in quel tempo, che a contemplarlo lo si fermava.
Popolo
Enkidu muore; chiamate Gilgamesh!
Voce recitante
Quando apparvero le prime luci dell'alba, Gilgamesh mandò un grido che si sparse su tutta la Terra. Disperato disse: "Ti farò riposare su un letto preparato con amorevole cura; i prìncipi della Terra ti baceranno i piedi; e io stesso trascurerò il mio aspetto e vagherò in aperta campagna. La tristezza è entrata nel più profondo del mio essere e, solo adesso, scopro di avera paura della Morte!"
Moglie di Utnapishtim
Gilgamesh, lascia il tuo corpo immobile, viaggerai sul suono in cerca di Utnapishtim, l'uomo immortale.
Siduri (la dea che vive nel giardino degli dei in riva al mare)
Forse quest'uomo è un assassino; come osa entrare nel giardino degli dei? (nel frattempo Gilgamesh si avvicina) Gilgamesh! ..sei irriconoscibile. Come sono smunte le tue gote; come è infelice il tuo cuore! ..Esausto e pieno di dolore il tuo aspetto. Il fato dei mortali che ha raggiunto Enkidu (l'amico amato e pianto per sei giorni e sette notti), non riesci a capire. La tua meta: incontrare Utnapishtim (l'unico uomo che ha conquistato l'eternità), è ardua, difficile. Nessuno da tempo immemorabile è riuscito ad attraversare "le acque letali". (Pausa) Ti voglio aiutare. Giù c'è Urshanabi "il barcaiolo di Utnapishtim". Che gli altri dei ti proteggano. (Mentre Gilgamesh va via e Siduri con tutto il giardino esce di quinta) Cambiategli la veste e pulitelo.. in queste condizioni non riuscirebbe mai ad entrare nel "Regno del Lontano".
Popolo
Gloria Aeter.. dona eis requiem.
Lascia che ti riveli una cosa ben custodita, quando gli dei in consiglio decisero il diluvio.
Moglie di Utnapishtim
C'era Anu, padre loro, Enlil il guerriero, Ninurta, Ennugi e il lungimirante Ea..
Utnapishtim
Ea mi disse: "Costruirai una barca; larghezza e lunghezza saranno in armonia. Coprila di un tetto come l'Apsu (l'abisso), dividila in sette, caricala di amici e parenti, di animali, di artigiani. Due terzi dovranno emergere dall'acqua..
Popolo
Alleluja Pater Noster
Utnapishtim (voce recitante)
La tempesta era terribile a vedersi. Gli stessi dei, pentiti, ebbero paura di quel furioso diluvio; e si accucciarono come cani. Per sei giorni e sei notti soffiò il vento. L'inondazione sommerse la Terra. Il settimo giorno il diluvio cessò. Guardai il tempo. Regnava il silenzio. Mi inchinai e piansi.
Donne
Liberai una colomba, ma ritornò indietro.
Uomini
Utnapishtim disse: "E ancora un corvo."
Donne
Misi fuori la rondine: non tornò.
Uomini
Misi fuori la rondine e non tornò.
Popolo
Gilgamesh! Gilgamesh! Guardate il nostro re. E' morto o dorme?
Estate 1240 in Sicilia. Incontro di sette sufi.
Baritono
Pater
Baritono e mezzosoprano
noster
Baritono
qui es in caelis: sanctificétur nomen tuum. Pater noster, qui es in caelis: sanctificétur nomen tuum.
[che sei nei cieli: sia santificato il nome tuo. Padre nostro che sei nei cieli: sia santificato il nome tuo.]
Mezzosoprano
advèniat regnum tuum; fiat volùntas tua, sicut in caelo et in
[venga il tuo regno; sia fatta la tua volontà, come in cielo così in]
Mezzosoprano e baritono
terra.
Coro
Panem nostrum substantialem da nobis hòdie.
Mezzosoprano
et dimìtte nobis dèbita nostra, sicut et nos dimìttimus debitòribus nostris; et ne
[e rimetti a noi i nostri debitio, come noi li rimettiamo ai nostri debitori; e non]
Coro
nos indùcas in tentationem;
Baritono
sed libera nos a malo.
Tutti
Amen.
Il maestro
"A giudicare dall'apparenza, il ramo è l'origine del frutto; ma in realtà, il ramo è venuto all'esistenza in vista del frutto. Se non ci fossero stati un desiderio e una speranza per il frutto, come avrebbe potuto il giardiniere piantare la radice dell'albero? Ecco perchè in realtà dal frutto è nato l'albero" Rumi Vi ascolto.
Un uomo
Durante un mio viaggio alla ricerca del miracoloso, capitai in una zona del nord Africa, dove esiste il monastero senza porte dalle mura alte come l'antica Uruk. Per entrarvi, bisogna attendere che qualcuno decida di calare giù una corda con appesa una cesta; cosa che potrebbe non accadere. Aspettai invano per due giorni, ma la notte successiva mi apparve in sogno un essere trasparente, una pura vibrazione di luce. "Quando avrai trasceso la condizione dell'uomo", mi disse, "sarai condotto in una terra dolcissima che non si può nè immaginare nè rappresentare: la sua natura è di espandere l'anima nella gioia. E in questo firmamento, ciò che è giovane non diventa vecchio, ciò che è nuovo non diventa antico; non si corrompe cosa alcuna nè si guasta; nulla muore; nessuna persona desta si addormenta, poichè il sonno è fatto per il riposo e per scacciare il dolore.. e in questo luogo non ci sono nè sofferenza nè dispiacere" Rumi
Una donna
"Io fui già un tempo giovane e ragazza ed anche pianta e uccello e muto pesce che salta fuori dal mare" Empedocle A Murcia, dove ho abitato per sette anni, ebbi come maestro Ibn Arabi, a Lui pace e gloria. "Il mondo è fatto di sostanze grossolane e di sostanze sottili. E fa da velo a sè stesso, di modo che non può vedere Iddio proprio perchè si vede. Dio resta sempre sconosciuto, così all'intuizione come alla contemplazione, poichè l'effimero non ha presa sull'eterno" Ibn Arabi "Non è possibile avvicinare la divinitò sì che abbia accesso ai nostri occhi. Non è corredata di umana testa sulle membra, nè di piedi, nè di ginocchia, nè di vergogne pelose, ma è Intelletto sacro ed ineffabile, che coi rapidi pensieri per l'Universo intero si squaderna" Empedocle
Il maestro
Giusto.
Un altro uomo
Negli ultimi tempi, mi sono dedicato con assiduità all'esercizio che Lei ci assegnò l'estate scorsa. Ho preparato un pezzo che ho chiamato, parafrasando il libro di Abul Quasim, "Luci sulla scienza dei suoni e sui percorsi interni della voce". Ho delimitato la ricerca alla sola zona del sentimento, sperimentando che il punto che colpisco con una nota all'interno, risuona esattamente nello stesso punto all'esterno di chi ascolta.
Uno straniero
Io credo di vedere, di giorno, le microscopiche particelle che compongono l'aria.
Il maestro
E la notte?
Coro
Deo nostro. Vere dignum et iustum est, invisìbilem Deum Patrem Omnipotèntem, Filiùmque eius unigénitum, Dòminum nostrum Iesum Christum,
Baritono
toto cordis ac mentis affèctu, et vocis ministério personàre.
Coro
Qui pro nobis.
Voce
Exùltet iam angélica turba caelòrum: exùltent divina mysteéria: et pro tanti Regis victòria, tuba insonet salutàris. Gàudeat et tellus tantis irradiàta fulgòribus: totìus orbis se séntiat amisìsse calìginem.
Mezzosoprano, baritono e voce
Sursum corda. Habemus ad Dominum.
Mezzosoprano
Laetètur et mater Ecclésia, tanti lùminis adornàta fulgòribus: et magnis populòrum vòcibus haec aula resùltet.
Voce
Quapropter astàntes vos, fratres carìssimi, ad tam miram huius sancti lùminis clarìtatem, una mecum, quaeso, Dei omnipoténtis.
Mezzosoprano e baritono
Misericòrdiam invocàte.
Coro
Vobiscum et cum spìritu tuo.
Mezzosoprano e baritono
Haec nox est, in qua primum patres nostros, filios Israel edùctos de Aegypto.
Coro
Oramus ergo te, Domine, oramus.
Voce
Toto cordis ac mentis affèctu, et vocis ministério personàre.
Coro
Qui pro nobis.
Tutti
Exùltet ecc. e Haec nox ecc..